mercoledì 7 maggio 2014

Ska Keller e l'ordigno fine-di-Euro

Ieri, mentre interveniva a Ballarò, la candidata verde alla presidenza della Commissione Europea Ska Keller ha avuto un colpo di genio ed è riuscita ad esprimere in modo mirabilminte sintetico quale sia il problema dell'Euro.
La Germania non uscirà mai dall'Euro, ha detto, perché la rivalutazione del nuovo Marco farebbe calare le esportazioni tedesche ed aumentare la disoccupazione tedesca.
Infatti la Germania, per aumentare il proprio saldo commerciale, attua internamente politiche di deflazione salariale che da un lato riducono i costi di manifattura, aumentando le esportazioni, e dall'altro comprimono i consumi e quindi limitano le importazioni; questo normalmente crea un calo della domanda interna tale da danneggiare l'economia nazionale nel suo complesso ma l'Euro, impedendo la rivalutazione della moneta (quella che colpiva regolarmente il Marco nell'era pre-Euro), fa sì che il calo o la stagnazione della domanda interna possa venire compensata dal forte aumento della domanda estera per cui, in Germania, continua a esserci abbastanza lavoro.
Ma se vengono venduti più beni tedeschi negli altri mercati e meno beni esteri in Germania ciò significa che gli altri producono di meno e vedono salire la disoccupazione.

L'Euro è lo strumento che permette alla Germania di esportare, oltre alle sue automobili, anche la sua disoccupazione: ecco la splendida sintesi creata da Ska Keller.

A noi che, ciascuno secondo le sue capacità, ci stiamo battendo per arrivare alla fine dell'Euro attraverso un processo democratico prima che ci si arrivi attraverso una catastrofe economica non mancano certamente solide argomentazioni pienamente fondate nella Scienza Economica: che imporre un'unione monetaria a paesi con economie disparate sia una pessima, dannosissima idea è affermato all'unisono dagli specialisti del settore, e non per principio di autorità ma con corredo di approfondite analisi e riscontri storici.
Ma per giungere per via democratica alla risoluzione del problema Euro questa superiorità nella dialettica di modalità, per così dire, accademica non basta. Una gran parte delle opinioni non si formano, vuoi per disabitudine delle persone ad un dibattito ragionato vuoi per censura del medesimo da parte dei media, in seguito ad informate deliberazioni ma in seguito all'esposizione a brevi ma efficaci frammenti che distillano alcuni punti, indipendentemente dalla loro fondatezza, in poche parole che possono essere scritte nei titoli e sottotitoli dei giornali, ripetute agevolmete dagli avventori dei bar e dai frequentatori di talk shows, espresse in forma di soundbyte di pochi secondi da riproporre centinaia di volte nei radio e telegiornali, essere twittate e ritwittate. L'ordigno fine-di-Euro, se la fine la si vuole ottenere attraverso la pressione della pubblica opinione, dovrà avere come componenti anche esemplari di questo particolare tipo di aforisma.

Ska Keller è una donna politica e quindi è abituata nel corso della sua attività ad usare e creare queste opinioni in forma di pillole. Ieri sera ne ha creata una che è un vero e proprio regalo per noi avversari dell'Euro. Una sintesi fulminante che esplicita anche quale sia il pericolo insito nella permanenza della moneta unica (uno spauracchio non guasta mai, nel dibattito in stile baristico) e che non necessita nemmeno di venir ripetuto migliaia di volte al fine di diventare verità. Veritiera, modestamente, lo nacque:

"L'Euro serve alla Germania per esportare da noi la sua disoccupazione"



P.S.: Io non sono un economista: ma di fronte alla crisi che stiamo vivendo ho sentito la necessità personale ed il dovere civico di comprendere i meccanismi che la causano per poter reagire nel modo migliore e anche perché la comprensione è il miglior antidoto allo sgomento ed alla disperazione. Pertanto mi sono messo a studiare e consiglio a tutti di fare lo stesso. Rimando chi dubitasse della breve e senz'altro incompleta descrizione che ho dato del meccanismo che consente alla Germania di esportare la sua disoccupazione al grandioso lavoro di divulgazione fatto nel suo blog dal Prof. Alberto Bagnai e in particolare ai post indicati nella lista di Istruzioni per l'uso, che danno solide e condivise basi per capire la crisi. Potrà giudicare da sé se ho detto bene o ho detto male.

lunedì 5 maggio 2014

Sulla bugia di Obama

Sarà certamente sfuggito a molti, poiché i media hanno evitato di rimarcare la cosa, che Barrack Obama nel corso di una dichiarazione alla stampa ha affermato che l'attuale governo di Kiev (Ucraina) è "regolarmente eletto".
Ora, Obama poteva dire tante cose sul governo di Kiev: che rispecchia la volontà del popolo ucraino, che è un governo extremely cool, che metterà un pollo in ogni pentola e il riscaldamento a palla per tutto l'inverno, che creerà il Paradiso in Terra per gli Ucraini; tutte opinioni legittime, sebbene di diversi gradi di attendibilità. Ma invece ha deciso di enunciare una falsità e per di più una falsità che chiunque, informandosi, può facilmente riconoscere per tale. Il governo attualmente insediato a Kiev si trova lì in seguito ad una sospensione della costituzione (come dice chi vuol apparire moderato, e come dico io) o ad un golpe (come sostengono i più estremisti) ma di sicuro non in seguito ad una regolare elezione.
Mi sono chiesto se Obama mentisse sapendo di mentire e sono giunto alla conclusione che sarebbe perfettamente plausibile (parola accuratamente scelta, come risulterà dal seguito) che non lo sapesse, che fosse ignaro del reale status costituzionale di quel governo: ha letto il discorso che gli era stato preparato senza trovare nulla di incongruo nel contenuto o ha improvvisato riferendo quella che sinceramente riteneva essere la situazione in quanto così gli viene presentata dal suo staff. In fondo non ci sarebbe nulla di strano se il Presidente degli USA, alla pari con la gran maggioranza degli americani, non avesse né interesse per né una conoscenza informata su quanto accade fuori dai patri confini.
Ci si potrebbe allora chiedere perché i collaboratori più stretti di un uomo che occupa una posizione tanto importante gli nascondano importanti informazioni sulla situazione geopolitica. La risposta a questa domanda è decisamente meno ipotetica della precedente: esiste infatti una collaudata dottrina della plausible deniability (negabilità plausibile) originata nell'ambito delle operazioni spionistiche che prescrive che i particolari e la stessa esistenza di azioni illegali debbano essere tenute nascoste ai dirigenti affinché questi, nel caso scoppi qualche scandalo, possano affermare in modo del tutto veritiero di non aver mai saputo nulla.
Come è noto il Presidente Richard Milhouse Nixon fu costretto alle dimissioni perché, sebbene avesse affermato di non sapere nulla di una certa azione illegale perpetrata da membri del suo comitato elettorale presso l'Hotel Watergate di Washington, risultò che in effetti ne era al corrente. Il frutto avvelenato del caso Watergate è stato questo: si è demonizzato Nixon e di conseguenza si è automaticamente creata, per contrapposizione, una figura essenzialmente mitica di Presidente angelicato  (rappresentato iconicamente dal santino di JFK) la cui azione politica si manifesta in una successione di atti ciascuno dei quale è totalmente virtuoso. Una tale figura è inconciliabile con la realtà della politica che talvolta è "sangue e merda" (perdonate il francese che non è il mio ma quello di Rino Formica); e tuttavia era pur necessario, per soddisfare l'aspettativa di un cavaliere senza macchia creata ex novo nel corpo elettorale, fare in modo che la bianca armatura del Presidente non dovesse essere mai colpita da qualche schizzo di fango (o peggio): e per fare ciò era necessario erigere tra il Presidente e le azioni potenzialmente controverse dell'Amministrazione (utilizzo di agenzie federali per creare problemi ad avversari politici, cedimenti alle pressioni del complesso militare-industriale non propriamente nel pubblico interesse, spregiudicatezze in politica estera, ecc.) una barriera di plausibile deniability ovvero mantenere il Presidente all'oscuro di una parte crescente di quanto veniva fatto dal suo stesso governo. Si possono ancora fare delle porcate in campagna elettorale purché a insaputa del Presidente, in modo che non faccia la fine di Nixon.  Il prezzo è la progressiva incapacitazione del Presidente ad una reale ed efficace azione di governo: ovviamente egli non può deliberare su ciò su cui non può essere informato.
Cose del genere sono avvenute in molti luoghi e in molte epoche. Per esempio nel Giappone feudale al Tenno era riconosciuto status divino e ciò lo rendeva figura rappresentativa della legittimità dello Stato. Ma proprio perché doveva tenere la sua celestialità al riparo da contaminazioni terrene egli era tenuto separato dalla prassi di governo che era esercitata (quando ci riusciva, vista la riottosità dei potentati regionali) dallo Shogun; incidentalmente ciò comportava che era in effetti lo Shogun a detenere il potere reale e a prendere le decisioni politiche.
Il ruolo del Presidente USA si sta forse trasformando da titolare del potere esecutivo a carica semi-onorifica rappresentativa della legittimità dello Stato, non dissimile dal ruolo dei monarchi costituzionali europei: e come quella di questi ultimi potrebbe essere, senza danno per la Democrazia, una carica ereditaria anziché elettiva. Certo, con una presidenza ereditaria si sarebbe probabilmente dovuto aspettare parecchio per il primo presidente nero.